L’internet 2.0 ha questa cosa, che per essere figo devi essere anche up-to-date. Devi vedere il nuovo telefilm mentre sulla CBS stanno ancora passando i titoli di coda della prima puntata, devi vedere il film appena uscito nelle sale prima che esca nelle sale, devi leggere le bozze dell’ultimo libro di quell’importante autore e così via.

Ecco, io non ce la posso fare.

I film li guardo con un anno di ritardo, i libri si accumulano sul mio comodino fino a costituire un pericolo fisico per chi ci passa accanto, il nuovo telefilm non so nemmeno che è uscito.

In pratica, sono la persona meno up-to-date del cosmo o quasi.

Quindi… questo fumetto è uscito sei mesi fa, ok? Forse anche di più, ora non mi ricordo. Ne hanno parlato tutti, perché è un fumetto della nota comicsstar Roberto Recchioni. Si dice così? Comicsstar? Insomma, avete capito.

Questo è solo il primo motivo per cui ne hanno parlato tutti. Del secondo vi dico tra poco.
Recchioni, la comicsstar, ha dei meriti professionali veri, ma specialmente è riuscito a fare una cosa grande e importante: è riuscito a stare sui coglioni a un sacco di gente.

Nell’ambiente molto ristretto, quasi casalingo, del fumetto italiano, stare sui coglioni alla gente è una cosa preziosa, perché il nostro ambiente ristretto e quasi casalingo è anche fatto di persone che sfogano il loro livore scrivendo compulsivamente un po’ dappertutto. E noi tutti sappiamo che cosa diceva Oscar Wilde sull’argomento.

L’altro motivo per cui ne hanno parlato tutti è simile al primo. Il mondo del fumetto italiano è ristretto, quasi casalingo. Quelli a cui Recchioni non sta sulle palle, comunque lo conoscono. Vuoi non parlare del lavoro di uno che conosci?

Poi c’è il cosiddetto fandom, cioè quelli che seguono (le imprese e le gesta di) Recchioni sul suo blog, per i meriti reali, fisici, fattuali, di cui sopra e anche per altri motivi che non mi sono del tutto chiari. Comunque: altra gente che parla di Asso.

A che cosa serve questa lunga premessa? A pararmi il culo, ovviamente. Se quello che dirò su questo libro l’avete già letto in altre 200 recensioni, non è colpa mia. È il mondo che cospira per rendermi obsoleta.

Comunque, quelle 200 recensioni non le ho lette. Non per non rovinarmi la sorpresa, ma perché sono pigra e impegnata in egual misura. Ho letto, involontariamente, le millemila anteprime uscite qua e là.
Prima di iniziare a leggere il fumetto avevo l’impressione che sarebbe stato un lavoro così autoreferenziale da essere irritante, disegnato male, ma a tratti brillante.

(E io non sono nemmeno una di quelle a cui Recchioni sta sulle palle, fate voi.)

Naturalmente, era un pregiudizio. Non mi ricordo chi ha detto che avere dei pregiudizi è ok, se sai che sono pregiudizi. Aggiungo io che avere pregiudizi è inevitabile, quindi è inutile cercare di eliminarli a priori.

Avevo questo pregiudizio. Asso è un libro scritto e disegnato da Recchioni, io il lavoro di Recchioni lo conosco, non era poi un’idea così campata in aria.

Asso si compone di una serie di storie autoconclusive o semi-autoconclusive, legate tra loro dal protagonista e da alcune tematiche ricorrenti: la malattia, la cultura pop come estremo mezzo di difesa, la pornografia fine a se stessa.

Per leggere Asso non ti serve conoscere Recchioni o conoscere il ristretto mondo del fumetto italiano, ma se conosci entrambi finisce che ti diventa difficile distinguere la finzione dalla realtà. Quindi questa recensione non può essere imparziale neanche volendo.

(Vi chiederete: perché cavolo la stai scrivendo, allora? No, niente, perché leggere questo libro mi ha fatto pensare delle cose, ma voi non siete mica obbligati a continuare.)

In realtà, da vero paraculo, Recchioni ha inserito un’ottima recensione, la recensione definitiva, all’interno del volume stesso. L’ha scritta lui (e non è una buona recensione). Quindi, davvero, il lavoro che sto facendo è quasi inutile.

Nello stesso tempo, trovarmi davanti una recensione già scritta, e pure bene, mi infastidisce a livello intellettuale. Mi viene a prudere il muscolo del recensore. Quindi, vi dirò quello che penso io di questo libro, per quanto inutile sia.

La parte sulla cultura pop. Recchioni è un nerd. È un esperto assoluto di cultura pop. Conosce ogni cagata prodotta in Giappone, USA, Italia e Corea (del Sud, è chiaro). È uno up-to-date (che invidia). Quella parte è impeccabile. È una poesia sul citazionismo. Se non siete nerd, vi dirà poco, ma vi arriverà comunque il concetto, e vi arriverà in modo perfettamente chiaro.

Io non sono nerd, non su quel genere di cosa, ma conosco perfettamente la tentazione di vivere un po’ di qua e un po’ di là, in quell’altro mondo molto più figo. E ogni tanto bisogna cedere, inutile fingere che non sia così. Se non cedessimo, non faremmo questo mestiere.

La parte sulla malattia. È uno dei temi ricorrenti di Recchioni, e mica per caso. Nella sua autorecensione liquida la faccenda così: “E proprio questi malanni sono usati come grimaldello emotivo per attrarre simpatia (e compassione, forse) e dare forza e intensità a storie che, altrimenti, apparirebbero vuote ed elementari”.
Che è un modo abbastanza elegante per invitare tutti a considerare quella parte uno stratagemma cinico da o.n.g. per aumentare le vendite e massimizzare l’impatto.

Solo che non è così. In realtà, le riflessioni sulla malattia, gli episodi di malattia, la vita con la malattia vanno a scrivere quelle parti di Asso autenticamente meditate, elaborate, in cui il lavoro di distanziamento, che poi è quello che distingue l’autore dall’autobiografo, è più evidente e preciso.

Sono le parti in cui Recchioni lavora pubblicamente su di sé, per poi mostrarci una parte dei risultati. La parte che intende condividere e che può permettersi di manipolare a scopo creativo.
E dato che Recchioni è parecchio malato da parecchio tempo, si tratta di una parte non trascurabile e anche del nucleo della narrazione.

In altre parole, non sono le parti sulla malattia a essere state inserite per distrarre l’attenzione dalla pochezza del resto, ma sono tutte le altre parti a essere state inserite per distrarre l’attenzione dal nucleo della storia.

Che poi, è quello che fanno gli autori.

La parte porno. È anche, a mio avviso, la parte più deludente. Immaginavo che fosse scioccante, disturbante, autenticamente misogina, deflagrante. Poteva esserla, ma apparentemente all’autore sono mancate le palle, proprio su quel punto.

La parte porno, quindi, è solo marginalmente provocatoria, affatto disturbante e anche piuttosto educata. Non era facile, e infatti.

L’impressione generale è che l’autore avesse delle altre cose da dire, su questo punto, ma che in definitiva abbia deciso di non farlo per una bizzarra ritrosia morale o perché non le aveva ancora elaborate compiutamente. Peccato.

Riguardo all’autoreferenzialità irritante, il mio pregiudizio era invece del tutto sbagliato.

Asso è un lavoro molto poco edonistico, e narcisistico solo nella misura in cui tutte le opere di narrativa lo sono. Chi sostiene il contrario, è semplicemente caduto nel trabocchetto di Recchioni. È chiaro; se sei un autore e stai scrivendo qualcosa, di che cosa credi di parlare? Di te, non hai altre possibilità. Che tu lo faccia in modo scoperto o che tu lo faccia con un gran numero di salti mortali e diversioni, puoi parlare sempre e solo di te stesso.

A meno che tu non stia scrivendo a quattro mani con qualcun altro. In quel caso, parlerete di voi due, separatamente e in coppia. È inevitabile. È assurdo pensare che scrivere possa essere qualcosa di diverso.

Quindi, no, Asso non è un irritante esercizio di gratificazione narcisistica, non più di quanto lo sia tutto il resto. È, forse, persino più sincero di altri libri.

Dico “forse” perché poi, sapete, è narrativa. È fiction. È una storia.

Per concludere, Asso è disegnato male? Be’, sì. Recchioni ha delle difficoltà tecniche e le maschera davvero con lo stile e i riferimenti iconografici. Nello stesso tempo, i suoi disegni sono perlopiù efficaci, per quanto sgangherati.

Inoltre, varie sezioni del libro sono disegnate (e talvolta scritte) anche da altri autori. I disegni di Rossi Endrighi e della Melaranci, per citare i primi che mi vengono in mente, vi restituiranno all’onore del mondo.

Informazioni su Susanna Raule

Susanna Raule, psicologa e psicoterapeuta, è nata alla Spezia nel 1981. Ha lavorato come traduttrice e sceneggiatrice per vari editori. Nel 2005 vince il Lucca Project Contest con il suo fumetto "Ford Ravenstock – specialista in suicidi", con i disegni di Armando Rossi, in seguito finalista al Premio Micheluzzi (Napoli Comicon). Nel 2010 è tra i finalisti del premio IoScrittore promosso dal gruppo editoriale Mauri Spagnol con "L’ombra del commissario Sensi", che esce per Salani, con cui pubblica anche "Satanisti perbene" e "L’architettura segreta del mondo". In seguito esce una prima edizione de "Il Club dei Cantanti Morti", il graphic novel "Inferno", "I ricordi degli specchi" e l’antologia di racconti a tiratura limitata "Perduti Sensi". "Il club dei cantanti morti" nel 2019 diventa il primo volume di una trilogia crime-sovrannaturale per Fanucci. Nel 2020 viene ripubblicato un primo volume di "Ford Ravenstock" per Doulble Shot. Su Wattpad è disponibile gratuitamente il suo romanzo "La signora Holmes". "L’ombra del commissario Sensi" è stato selezionato dal Sole 24 Ore nella collezione dei migliori gialli italiani. Scrive per le testate Esquire, Harper’s Bazaar e Wired. È tra le fondatrici del collettivo per la parità di genere nel fumetto Moleste (www.moleste.org). Il suo sito è www.susannaraule.com

Una risposta »

  1. Posso dire che è la migliore recensione di Asso che ho letto? Lo dico lo stesso…Sciapò!

  2. Susanna Raule ha detto:

    Che ci volete fare, è uno dei miei molteplici lavori, scrivere recensioni. Pure questa a -aehm – professionalità.

  3. […] La narrazione è fluida, senza fronzoli, diretta, efficace, con giusto l’occasionale – e assai blanda – pennellata di stile. Penso che con Orfani Recchioni sia riuscito a fare una cosa nuova anche dal punto di vista della sua crescita autoriale: ha de-recchionizzato il testo. In generale, non sono favorevole alla perdita della voce personale di un autore, ma in questo caso mi pare il liberarsi di un fardello che con il tempo era diventato eccessivo e auto-referenziale (e che Roberto aveva ampiamente sfogato in Asso). […]

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